Un workshop esperienziale in due serate che ti insegna a riconoscere i segnali del burnout e a costruire confini sani attraverso strumenti concreti e condivisione di gruppo.

Ti sei mai sentito così stanco che nemmeno un weekend di riposo ti ricarica? Hai mai notato che le cose che prima ti entusiasmavano ora ti lasciano indifferente? Non sei solo. E soprattutto, non è un segno di debolezza.
Il workshop "Stop al Burnout" nasce proprio da qui: dalla necessità di riprendere il controllo sul nostro pilota automatico prima che sia troppo tardi. Questo percorso di due serate è nato dopo il webinar gratuito che ha acceso una scintilla in tantissime persone.
Se non hai ancora visto il webinar, puoi recuperarlo a questo link per comprendere le basi da cui siamo partiti.
In due serate intense, abbiamo esplorato insieme le radici profonde del burnout e costruito strumenti concreti per proteggerci.
Questo non è il solito articolo teorico sul burnout. È il racconto di ciò che accade quando un gruppo di persone – donne e uomini tra i 35 e i 60 anni, professionisti, genitori, imprenditori – decide di guardarsi allo specchio e ammettere: "Sono stanco. E voglio cambiare."
Durante la prima serata, abbiamo fatto un breve recap del webinar gratuito (che puoi rivedere qui se te lo sei perso) per allineare tutti i partecipanti. Abbiamo identificato le cinque ragioni più ricorrenti che conducono al burnout. E quando ho chiesto al gruppo "chi di voi sente di avere un certo doverismo?", quasi tutte le mani si sono alzate.
Le cinque radici sono:
Il doverismo cronico è quella voce interna che dice "devo essere perfetto", "devo accontentare tutti", "non posso dire di no". È il senso del dovere che si trasforma in prigione.
La mancanza di confini rappresenta l'incapacità di proteggere il proprio spazio vitale. Come ha condiviso una partecipante: "Mi sono identificata in un cane al guinzaglio... ho capito che cerco ancora un padrone più magnanimo, ma resta una dipendenza."
L'efficientismo è quella corsa continua verso la performance, l'essere sempre produttivi, sempre "on". Pablo ha raccontato: "Mi sono accorto che tendo a non fermarmi tra un impegno e l'altro... dalle 8 del mattino non mi ero fermato un secondo."
La carenza di autostima ci porta a cercare conferme esterne, a misurare il nostro valore attraverso ciò che facciamo piuttosto che chi siamo. Questo alimenta un circolo vizioso di sovraccarico e insoddisfazione.
L'incapacità di ascoltarci è forse la radice più pericolosa. Ignoriamo i segnali del corpo, continuiamo ad andare avanti fino al collasso. Come abbiamo visto nel workshop, la società ci spinge verso questa direzione, ma siamo noi a dover dire basta.
Quando ho chiesto "quanto siete stanchi in questo momento da 0 a 10?", le risposte sono state impressionanti: 8, 9, 10. Eppure, quelle persone erano lì, presenti, desiderose di cambiare. Questo è il primo segno di forza.
I sintomi del burnout non sono astratti. Si manifestano in modi molto concreti: irritabilità costante, quella sensazione di essere sempre sul filo del rasoio. Stanchezza cronica che non se ne va nemmeno dopo aver dormito. Tono dell'umore instabile, dove passi dall'entusiasmo alla frustrazione in pochi secondi. Cinismo nei confronti della vita, quel distacco che fa sembrare tutto privo di senso. Inaffabilità anche con le persone che ami, perché quando sei esaurito, chi ti sta vicino diventa il bersaglio della tua frustrazione. Demotivazione e apatia verso ciò che prima ti appassionava.
Una partecipante ha confessato: "Sento che la fiamma della voglia di lavorare su me stessa si era un po' spenta negli ultimi tempi." Questo è il burnout: non ti toglie tutto in un colpo, ti svuota lentamente.
Una delle rivelazioni più potenti del workshop è stata la condivisione. Ascoltare gli altri raccontare le proprie battaglie ha creato una magia inaspettata.
"Sentire che tante persone hanno questo stesso problema del sovraccarico fa sentire un po' meno... meno cretine nell'incapacità di gestire la vita", ha detto Francesca con una sincerità disarmante. E aveva ragione. Il burnout prospera nell'isolamento, nella convinzione che "se non ce la faccio, è colpa mia."
Pablo ha aggiunto: "Normalizzare il fatto che capita a tutti... sentirsi meno sfigati, nel senso buono del termine, o soli su questa cosa." Perché spesso pensiamo di essere gli unici inadeguati, quando invece siamo immersi in una società che chiede troppo.
Maria ha espresso qualcosa di profondo: "Ascoltare le difficoltà degli altri ti fa sentire meno solo... fa proprio bene, fa strabene." Questo è il potere della community: non sei solo nella tua lotta. E non è debolezza ammettere di essere stanco.
Durante la prima serata abbiamo lavorato su uno strumento potente: la visualizzazione della barriera protettiva. Non è new age, è neuroscienza applicata alla vita quotidiana.
Francesca ha raccontato: "Questa barriera che hai suggerito me la vedo e mi dà un po' di leggerezza, mi sento più leggera." Paola l'ha sintetizzato perfettamente: "Respirare leggerezza... l'idea di individuare le borse, i pesi e sbarazzarmene."
Ma come funziona questa barriera? È un confine mentale ed emotivo che ti permette di separare le tue responsabilità da quelle degli altri, i tuoi bisogni dalle richieste esterne. Maria ha usato una metafora bellissima: "È come accendere un ventilatore quando ti sembra di soffocare."
Loredana ha colto l'essenza: "Vedere uno spiraglio che è possibile lavorarci, alzare questo muro che ci può aiutare ad affrontare le cose." Perché il burnout ti convince che non c'è via d'uscita, quando invece gli strumenti esistono.
La seconda serata è stata dedicata a qualcosa di rivoluzionario per chi soffre di doverismo: imparare a dire di no senza sensi di colpa.
Quando ho chiesto chi non era riuscito a prendersi 10-15 minuti durante la settimana per lavorare sul workbook, molti hanno alzato la mano. Le ragioni? "Molti impegni, poca energia residuale." "Mix di paura e mancanza di tempo." Proprio quello che stavamo affrontando nel workshop.
Ma Pablo ha raccontato qualcosa di straordinario: "Oggi mi sono imposto di fermarmi 10 minuti alle 2:30, e poi altri 15 minuti alle 5:10. Ho letto tre pagine di un libro. E adesso mi sento un po' meno prosciugato." Per chi lo conosce, questo è un risultato monumentale. Andare contro la propria tendenza è difficile, ma possibile.
Anna ha condiviso un insight potente: "Ho capito che devo abbattere l'equazione dei vecchi insegnamenti. Da bambini 'devi essere buona' che da adulto diventa 'devi essere disponibile'. Ecco, lavorare su questo." Queste sono le convinzioni che ci intrappolano.
Il cuore della seconda serata è stato il metodo DAI: Distingui il bisogno dell'altro dal tuo bisogno. Affermati partendo dal tuo bisogno. Impara a comunicare in modo assertivo.
Pablo ha sintetizzato: "Mi porto a casa questa sensazione di libertà che si respira quando si afferma se stessi, non come forma di egoismo, ma di amore a se stessi." Perché dire no agli altri significa dire sì a te stesso.
Maria ha sottolineato: "Il consolidamento... più ripeti e più ti trovi ad essere più sicuro nel dir di no. Questa libertà fortissima, senza sensi di colpa, senza la paura dei giudizi." Non è magia, è allenamento. Ogni no che dici rinforza il muscolo dell'autodeterminazione.
Cristiana ha aggiunto: "La parola respirare... non è solo il respiro fisico, ma prendersi un tempo per pensare, per riflettere, per rispondere." Rallentare prima di reagire è rivoluzionario in un mondo che ti chiede velocità costante.
Il workshop non è stato solo teoria ed emozioni. Abbiamo utilizzato strumenti pratici che chiunque può applicare.
Le domande potenti ti aiutano a fare chiarezza. "Quanto sono stanco ora da 0 a 10?" Semplice, ma illuminante. Le visualizzazioni guidate creano nuove connessioni neurali. Immaginare una barriera protettiva non è fantasia, è riprogrammazione mentale. Gli esercizi di respirazione ti riportano nel presente. Come ha detto una partecipante: "Respirare e alleggerirsi." Il disegno e la creatività fanno emergere ciò che le parole non riescono a esprimere. L'ascolto del corpo ti insegna a riconoscere i segnali prima del collasso.
Stefano ha condiviso la sua esperienza: "La meditazione, i corsi... sembra banale, sembra una cosa che non serve a niente, in realtà la costanza ti dà i risultati. È la perseveranza, la voglia di crescere. È faticoso, ma poi ti fa il salto di qualità."
Alla fine di ogni serata, ho chiesto ai partecipanti cosa portavano con sé. Le risposte sono state illuminanti.
Dalla prima serata: "Consapevolezza", "La fiamma riaccesa", "Leggerezza", "Non sono sola", "Gratitudine", "Fiducia nel trovare sempre una soluzione", "Uno spiraglio di luce".
Dalla seconda serata: "Consolidamento della capacità di dire no", "Respirare prima di rispondere", "Libertà senza sensi di colpa", "Smantellare le convinzioni limitanti", "Rallentare e dare senso a quello che faccio", "La speranza ritrovata".
Arianna ha detto qualcosa di potente: "Porto a casa che si raggiunge la speranza, chi poco chi più, chi prima o chi dopo, ma se crediamo in noi si raggiunge." E Rossella ha scoperto: "Sono più avanti di quello che pensavo... il percorso mi sta facendo andare a una velocità inaspettata."
Non parliamo solo di sensazioni. Il burnout ha basi neurologiche concrete. Quando siamo sotto stress cronico, il cortisolo – l'ormone dello stress – rimane costantemente elevato. Questo danneggia l'ippocampo, la parte del cervello responsabile della memoria e della regolazione emotiva.
La metamedicina ci insegna che il corpo parla quando la mente non ascolta. I sintomi fisici del burnout – stanchezza, mal di testa, tensione muscolare – non sono casuali. Sono messaggi disperati che il tuo organismo ti invia.
Le neuroscienze dimostrano che la visualizzazione guidata e la meditazione possono letteralmente riconfigurare il cervello. Questo processo si chiama neuroplasticità. Non sei condannato a vivere nel burnout. Puoi allenare il tuo cervello a rispondere diversamente allo stress.
Devo vedere il webinar gratuito prima di partecipare al workshop?
Non è obbligatorio, ma è consigliato. Il webinar gratuito "Stop al Burnout" introduce i concetti base delle cinque radici del burnout. Se hai perso questo workshop ma vuoi partecipare ai prossimi eventi, iscriviti alla mailing list per essere avvisato in anteprima.
Cosa includeva il workshop?
Il workshop si è articolato in due serate da circa 90 minuti ciascuna, più un workbook da completare durante la settimana. Ha incluso visualizzazioni guidate, esercizi pratici, condivisione di gruppo e strumenti concreti da applicare immediatamente. I partecipanti hanno lavorato su consapevolezza, costruzione di confini, gestione del doverismo e comunicazione assertiva.
Posso ancora partecipare a questo workshop?
Questo workshop si è già concluso, ma organizzo regolarmente nuovi workshop ed eventi su temi legati al burnout, alla gestione dello stress e al benessere personale. Iscriviti alla mailing list per ricevere aggiornamenti sui prossimi appuntamenti e non perdere le prossime opportunità di crescita.
Il workshop è adatto a me se non sono ancora in burnout completo?
Assolutamente sì. Il workshop è progettato per chi vuole prevenire il burnout, per chi sta iniziando a sentirne i sintomi, e per chi è già dentro e vuole uscirne. Prima intervieni, meglio è. Se vuoi lavorare su questi temi, considera un percorso individuale o attendi i prossimi eventi di gruppo.
Cosa succede se non riesco a completare gli esercizi durante la settimana?
È normalissimo. Molti partecipanti non sono riusciti a dedicare tempo al workbook, e proprio questo è stato oggetto di riflessione nel workshop. L'importante è la consapevolezza, non la perfezione.
Come posso continuare il lavoro dopo il workshop?
Il workshop si è concluso con strumenti che i partecipanti possono continuare a utilizzare autonomamente. Per chi desidera approfondire, sono disponibili percorsi individuali di coaching. Iscriviti alla mailing list per essere aggiornato su masterclass e altri percorsi di gruppo.
Se ti sei riconosciuto in queste parole, se anche tu senti quella stanchezza che non passa, quella voce che dice "non posso fermarmi ora", il primo passo è ammettere che hai bisogno di cambiare.
Non aspettare di arrivare al punto di rottura. Come abbiamo visto nel workshop, i segnali ci sono sempre, ma spesso li ignoriamo fino a quando il corpo ci costringe a fermarci.
Il burnout non è un segno di debolezza. È l'occasione per riprendere il controllo sul tuo pilota automatico. È il momento di costruire quella barriera protettiva, di imparare a dire no, di rispettare i tuoi bisogni tanto quanto rispetti quelli degli altri.
Ricorda le parole di Maria: "La vita non è senza via d'uscita. La via d'uscita c'è, ci sono gli strumenti giusti che ci possono aiutare." E Loredana: "Gratitudine nei confronti degli altri che hanno condiviso i loro pesi."
Non sei solo. E puoi cambiare.
Nota: Questo articolo è basato sulle testimonianze reali dei partecipanti al workshop "Stop al Burnout". I nomi sono stati modificati per proteggere la privacy, ma le storie sono autentiche. Se vuoi approfondire il tema del burnout, della gestione dello stress e della costruzione di confini sani, esplora gli altri articoli di questo blog o contattami per un percorso personalizzato.
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